Pacific trash vortex

Riproduzione grafica del posizionamento del Vortex.
(Foto http://local-info.co.za/)
Banane, radicchio, arance, mozzarella e piadine. Una scarna lista della spesa qualunque non tiene conto del primo prodotto che, più o meno inconsapevolmente, acquisteremo una volta al supermercato. La plastica. Tutto ciò che acquistiamo è rigorosamente imballato e decenni di miopia ambientale ora chiedono il conto. Il conto in questione può avere molti nomi, uno dei tanti - probabilmente il più salato - si chiama Pacific Trash Vortex. Una enorme isola di immondizia e plastica nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico. Una distesa immane di scarti del mondo globalizzato, della quale i più nulla sanno. I colpevoli siamo noi. Nessuno escluso. Ma non è la determinazione di responsabilità il presente intento. Uno studio delle Nazioni Unite nel 2012 stimava la presenza di 46 mila pezzi di plastica per chilometro quadrato negli Oceani. Un numero destinato, sempre secondo l'indagine Onu, a raddoppiare nei prossimi dieci anni. Non solo, ammonterebbero a cento milioni di tonnellate, i materiali dispersi in acqua. Lo scempio ambientale ha mille padri, ma nasce - oggi come ieri - nel nostro quotidiano gesto di fare la spesa e nella successiva inciviltà dello smaltimento delle plastiche. Già nel 2007 si denunciavano numeri da incubo per il Pacific Trash Vortex: un diametro di circa 2500 chilometri, profondità di 30 metri e composizione per l'80% di plastica.


Il video di Greenpeace (http://www.greenpeace.org/international/en/campaigns/oceans/fit-for-the-future/pollution/trash-vortex/) mostra, attraverso una simulazione, gli effetti e l'evoluzione temporale del Pacific Trash Vortex.

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