Rifugio, l'ultima alternativa al turismo di massa in montagna

Il rifugio Vajolet, nel cuore delle Dolomiti. A 2.243 metri.
L'antica civiltà montanara è un patrimonio da esplorare e condensa in sé valori che spesso la modernità ha cancellato, colpevolmente sostituito o riposto in una polverosa e semidimenticata soffitta. Esplorare la vita di montagna, o quel che ne resta, è un eccellente viatico per ritrovare alcuni degli inestimabili valori che racchiudeva e, talvolta, ancora racchiude.

Come ben descritto nel tempo da saggi e periodici specializzati, si possono distinguere tre fasi della storia recente della vita in montagna. La prima è la civiltà montanara classica: quella della fatica, della povertà e del lavoro manuale che piegava animo e schiena. Scomparsa tra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo. La seconda quella, sorta a inizio Novecento e poi rilanciata dopo la Seconda guerra mondiale, del primo turismo alpino. Con la nascita di figure nuove, come la guida alpina, ad accompagnare ad altissime quote rappresentanti di benestanti famiglie o pionieri dell'alpinismo in quota. Infine la terza, quella del turismo di massa e della cementificazione selvaggia dei centri in valle. Le seconde case in altura, gli alberghi figli del gigantismo edificatorio, e l'agosto da tutto esaurito a duemila metri. Dalla secolare detenzione di altissimi valori alla perdita della bussola.

Ritrovare un angolo intatto è oggi molto complesso. Una minima riproduzione di quanto in grossa parte perduto è rintracciabile nella vita di rifugio. Un'ultima alternativa al turismo di massa in alta quota. E' una concezione diversa, tuttora distante, di soggiorno nell'imperante turismo di massa. Ritrovare parte della pura civiltà della montagna presuppone due imprescindibili condizioni: la preclusione all'arrivo diretto di automobili e la distanza dall'arrivo diretto di impianti di risalita. Un luogo che possa essere privo di accesso diretto di macchine e funivie o seggiovie, specie la sera, è ancora in grado di regalare scorci di inarrivabile purezza. Le esperienze a rifugi come il Vajolet o il Cauriol nei gruppi di Catinaccio e Lagorai oppure Selvata e La Montanara nelle dolomiti del Brenta non lasceranno insensibili gli animi. A patto di essere capaci a rinunciare, o quanto meno mettere in discussione il superfluo e ritrovarsi, per una volta, faccia a faccia con sé stessi.

Il presente articolo non vuol essere una lista di consigli su questo, quello o quell'altro luogo da visitare. Per consultare un bel blog che invece accoglie gli amanti della montagna tra rifugi, escursioni e immagini, vi rimando al sito: http://miemontagne.blogspot.it/. 

Raccontare un percorso, anzi scriverne uno

Mantova Beat&Bit
casa editrice Sometti.
Recentemente ho partecipato ad una bella cena, che non avrebbe conosciuto esistenza, forma e partecipanti senza un libro. Un saggio, per la precisione. La saggistica da sempre racconta e analizza tracciati e percorsi, ma talvolta può anche crearne di nuovi, specie se affonda le mani nella più profonda contemporaneità. Quando al racconto riescono ad affiancarsi la partecipazione attiva e la condivisione delle storie e delle vicende narrate, significa aver centrato un obiettivo probabilmente più rilevante di quello, iniziale, letterario.

Non semplice ordine ed elencazione della creatività, ma lo strumento per avvicinare stelle tra sé distanti e avvicinarne i lontani singoli percorsi. Mantova Beat&Bit di Fabio Veneri (a margine trovate il servizio realizzato nei mesi scorsi di presentazione dell'opera per Telemantova) ha centrato in pieno l'obiettivo descritto. Da saggio, il libro diventa strumento. Le presentazioni, solitamente mere vetrine, trasformate in punti di partenza su nuovi affacci altrimenti non percorribili. Ecco dunque prendere forma una cena altrimenti impensabile, testimonianza di quanto possa creare un saggio sulla creatività. Senza non ci sarebbero state posate, primi, secondi, caffè e amari.