Il Kabaddi a Gonzaga. Riconoscimento culturale al contributo indiano e pakistano all'agricoltura

Il kabaddi.
Foto Bhaktalsports.com
Un anno fa, a due passi dal Po, alla riapertura di uno dei tanti caseifici lesionati dal terremoto che nel 2012 mise in ginocchio la Bassa mantovana, un casaro avvicinò il cronista e indicò il ragazzo incaricato di tagliare, con l’arte antica, la prima forma di Parmigiano della nuova vita della cooperativa sociale. “E’ il nostro Messi”, mi dissero. Un ragazzo indiano di trent’anni, considerato dai maestri casari mantovani il migliore del suo tempo. Ora il Messi indiano e i suoi fratelli vengono omaggiati, nella propria lingua sportiva, dall’agricoltura mantovana. La Fiera Millenaria 2015 mette in calendario il trofeo di kabaddi, sport di contatto asiatico. Ecco il derby India-Pakistan a Gonzaga, celebrando il fondamentale contributo delle due etnie all’agricoltura mantovana. All’interno della Millenaria di Gonzaga, uno dei principali appuntamenti fieristici dell’agricoltura del Belpaese, il primo storico derby India-Pakistan in terra italiana. Immaginate una fusione tra i principi del rugby e quelli della lotta a mani nude. Traslata di decine di migliaia di chilometri. Ne esce il kabaddi, sport di contatto che impazza nel continente indiano, già protagonista ai Giochi asiatici. I princìpi che diedero genesi al kabaddi germogliarono sia nel Tamil Nadu, stato indiano del Sud, che nel Punjab, macroregione asiatica divisa tra India e Pakistan. Ad inizio settembre il primo trofeo Fiera Millenaria ha messo di fronte rappresentative di India e Pakistan. E’ il premio, il riconoscimento sportivo e ancor prima culturale del contributo imprescindibile delle immigrazioni indiane e pakistane nella Bassa Padana, etnie che da decenni ricoprono figure chiave nella gestione delle stalle mantovane, e dunque nell’agricoltura mantovana. Nella Bassa mantovana gli indiani sono presenza costante da oltre un decennio. L’osservatorio Provinciale dell'Immigrazione registrava un anno fa la presenza indiana al 33 percento nel piano di zona di Suzzara tra gli immigrati (seguita tra le altre etnie dal Bangladesh all'11,4 percento e il Pakistan al 10) e al 29 percento nel distretto di Viadana (Pakistan al 3%). Due tempi da venti minuti, 12 giocatori per squadra a combattere per guadagnare più punti, per celebrare l’integrazione attraverso lo sport.

Alma Catal, la risposta

Alma Catal in un frame del documentario
Miss Sarajevo di Bill Carter. Foto Radiosarajevo.ba
Prima di tutto è necessario il riferimento al mezzo. Ho conosciuto il volto di Alma grazie allo straordinario lavoro di Bill Carter. La premessa qui è doverosa. Il mezzo è la chiave. Alma è l'adolescente protagonista di Miss Sarajevo, documentario del fotoreporter americano sull'assedio alla città bosniaca.

Il volto di Alma Catal è la risposta al fondamentalismo che negli anni Novanta avrebbe voluto cancellare la Bosnia Erzegovina multietnica. Era ancora una bambina quando, con coraggio, lucidità, intelligenza e personalità, nel dramma dell'assedio con parole semplici rispose con la più destrutturante naturalezza alle domande e alla telecamera di Bill Carter. La semplicità contro la follia e la strategia dell'odio delle milizie serbo-bosniache. "Sono musulmana, ma vado in chiesa e in moschea. Credo in Dio, c'è solo un Dio". Lo scandì, giovanissima, con una eccezionale padronanza della lingua inglese. Segno di uno stato di salute e avanguardia straordinario della gioventù sarajevese di inizio anni Novanta. La cultura che risponde al razzismo. Paradigma che potrebbe essere facilmente trasportato all'attualità del dramma dei migranti che scappano da guerra e fame in direzione del Vecchio Continente.

"Il rock e il metal ce li hanno insegnati i profughi", di recente un amico croato mi ha raccontato di come le comunità e le città croate, all'inizio della guerra furono estremamente arricchite dalle conoscenze musicali, linguistiche e modaiole dei giovani profughi bosniaci che ospitavano. Scappavano dalla guerra ed esportavano la loro cultura. Parrebbe un ossimoro, invece è un dettaglio poco noto dell'assedio di Sarajevo. La capitale bosniaca nella tragedia emanava una meravigliosa aura culturale, che i serbo-bosniaci di Karadžić avevano voluto simbolicamente annientare con la tragica distruzione della biblioteca nazionale di Sarajevo dell'agosto 1993. Dalle montagne hanno messo a fuoco la città di Sarajevo, ne hanno ferito profondamente l'anima ma non ne hanno cancellato la cultura.

Quel volto, genuino, di Alma è la miglior risposta - in presa diretta - a chi voleva cancellare l'identità, l'esempio vincente di multiculturalità della Sarajevo cosmopolita. Alma, e con lei gli altri giovani sarajevesi assediati, parlava inglese, cantava gli Ace of Base, il pop europeo e il rock americano all'interno di un'automobile sventrata dai mortai e mostrava indice e medio alzati alla telecamera di Bill Carter. Con il passare del tempo della città assediata il suo umore cambiò, il suo viso passò da quello coraggioso e spensierato di bambina a quello preoccupato e disincantato dell'adolescente cresciuta troppo velocemente. Il documentario la segue. Lei sopravvive. Oggi è adulta, vive a Sarajevo e (naturalmente) insegna inglese.

"Is there a time for first communion. A time for East 17. Is there a time to turn to Mecca. Is there time to be a beauty queen". Versi poetici nella canzone Miss Sarajevo degli U2, ma la vera poesia è Alma. La risposta.


(Di seguito due brevi documentari di Bill Carter che testimoniano il reincontro di Alma con gli U2 ad un concerto a Zagabria)