Ai Weiwei, artista

Ai Weiwei Presents Sichuan Earthquake Data 
at First Tate Modern Hackathon. (Foto Artlyst.com)
"Silenzio per favore, niente clamore. Lasciate che la cenere si posi, che i morti riposino in pace". La voce è di Ai Weiwei, che attraverso il suo seguitissimo blog, il 22 maggio 2008 aprì al mondo il dramma del devastante terremoto del Sichuan. Magnitudo 7.9, i dati ufficiali registrano 69.225 morti, 374 mila feriti e 17.939 dispersi. Scossa principale il 12 maggio 2008, con epicentro nella contea di Wenchuan.

Ai Weiwei è il nome di richiamo di una mostra artistica in corso a Palazzo Te, a Mantova. Figura poliedrica, non facilmente etichettabile. In fondo l'artista deve colpire l'attenzione, sorprendere, eludere gli schemi. E per la Cina contemporanea, Ai Weiwei sa essere coscienza e voce fuori dal coro. Sentinella di libertà d'espressione nel mare-magnum del rigido capitalismo.

Seimila bambini restarono sotto le macerie del sisma del Sichuan. Morti sotto le scuole crollate. Decine di palazzi rimasero intatti dopo le scosse, le scuole e i dormitori invece finirono sbriciolati. Crollate perché costruite con "calcestruzzo di qualità inferiore per le fondamenta e i pilastri" e "acciaio non sufficientemente rinforzato". A scriverlo, nei giorni drammatici della "perdita della bellezza" per la Cina dello sfrenato capitalismo di partito fu l'unica voce dissidente. Ai Weiwei, artista.

L'arte talvolta riesce ad essere antidoto alla mediocrità, rottura di schemi, ribellione. L'arte stuzzica la coscienza e la memoria, troppo labile in una società frenetica ed eccessivamente vincolata all'immediatezza e alla geografia, dove le notizie durano il breve volgere di pochi secondi e con loro sgomento e reazione. Poi è tutto dimenticato.

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