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Ilaria Alpi, inviata in Somalia negli anni Novanta. Foto Giornalistitalia.it |
Lei, trentaduenne e alla prima missione da inviata, fu l'unica - sempre in prima linea e tra le linee - a provare a districare la complessa matassa di intrighi internazionali che si celavano dietro la guerra civile somala degli anni Novanta. Non è difficile amare il giornalismo, è molto meno semplice invece onorarne nel profondo la professione. Ilaria non amava le conferenze stampa preconfenzionate, lei stava sul campo, tra le donne, tra la gente di Mogadiscio. Alla corsa agli stand-up preferiva l'approfondimento. Grazie a questa visuale non protocollata, non accomodante, non tradizionalmente embedded, Ilaria intravide quello che ancora oggi, ventuno anni dopo la sua morte, è stato secretato e in gran parte oggetto di depistaggi dai Servizi.
I recenti sviluppi d'indagine giornalistica - raccontati da Chi l'ha visto e dalla docu-fiction di Rai Tre - forniscono carburante vitale alla ricostruzione di uno scenario estremamente labile nel quale Ilaria si era introdotta, nella ricerca della verità. "Nessuna rapina o tentativo di sequestro. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono caduti in un agguato, studiato nei dettagli, per zittire una giornalista divenuta ormai estremamente pericolosa e, con lei, il suo operatore". Così scrive Repubblica dopo gli ultimi sviluppi. Ilaria, inviata del Tg3 nel 1994, avrebbe raccolto in Somalia - tra Bosaso e Mogadiscio - indizi sufficienti per smascherare un traffico d'armi clandestino. Ventun'anni dopo, il modo migliore per onorare la voce coraggiosa di Ilaria Alpi è condividerne la travolgente passione che le faceva portare l'amore per la popolazione somala e la verità nel cuore.
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